la Medicina oltre
Che cosa hanno in comune un giapponese, un americano, un italiano e un tedesco dal punto di vista alimentare? Tutti risponderebbero: nulla o ben poco. In realtà non è così.
Analizziamo i seguenti quattro punti.
1) I loro paesi sono altamente industrializzati e le notizie salutiste possono circolare velocemente.
2) I loro paesi hanno una speranza
di vita paragonabile. Non è certo la differenza di un anno o di qualche mese che può essere significativa in un discorso generale.
3) Il sovrappeso è un grave problema in tutti i paesi considerati.
4) È pur vero che le abitudini alimentari sono molto diverse fra i vari paesi.
Sintetizzando quest'ultima considerazione con i tre punti precedenti, si scopre che è veramente
utopistico creare un modello alimentare globale a partire dalle abitudini di una determinata popolazione. Non bastano cioè indicazioni generiche sui cibi o sulle abitudini alimentari per ottenere risultati significativi e sono destinate perciò
al fallimento e alla confusione alimentare quelle diete che sono prive di aspetti quantitativi formalizzati. Il giapponese che si nutre di pesce o l'italiano che si nutre di pasta arriveranno comunque al sovrappeso perché l'indicazione è troppo
generica.
L'evidenza degli insuccessi di indicazioni generiche ha fatto nascere modelli alimentari sempre più sofisticati.
Attualmente nei paesi industrializzati la
popolazione si può dividere in tre fasce:
A) chi segue un modello alimentare preciso e ha una coscienza alimentare sviluppata (a prescindere dalla correttezza del proprio modello);
B) chi si lascia guidare da informazioni avute da altri senza capire;
C) chi non segue nessun modello alimentare.
Gran parte dell'insieme C può entrare a far
parte temporaneamente dell'insieme B nei periodi in cui per esempio decide di seguire una dieta.
È abbastanza ovvio che se la maggior parte della popolazione appartiene agli insiemi B e C i risultati sono globalmente
disastrosi ed è purtroppo ciò che accade nella realtà. C'è quindi da chiedersi perché l'insieme A sia così poco numeroso. La risposta è abbastanza semplice: le attuali teorie alimentari non sono in grado di
proporre un modello:
Il perché dei fallimenti - In realtà i sostanziali fallimenti dei vari modelli nascono dall'incapacità
di armonizzarsi con la psicologia alimentare della massa.
Per capirne il motivo, consideriamo il termine "ortoressia". Ortoressia significa un'ossessione maniacale per i cibi sani. L'ortoressico preferisce morire di fame
piuttosto che mangiare cibi che ritiene contaminati o che comunque possano nuocere alla sua salute. Molti comportamenti giudicati normali sono in realtà ortoressici. L'ortoressia è stata descritta come problema sociale da un ex-ortoressico, il
dietologo Steven Bratman. Ampliando la definizione di Bratman, definiamo
ortoressico chiunque abbia una posizione integralista in alcuni aspetti della propria alimentazione.
Purtroppo i modelli alimentari attuali sono in gran parte ortoressici (in senso lato) e non sono in grado di catturare la maggioranza della
popolazione (che ortoressica non è), se non marginalmente. Vediamo come i vari modelli si possano inquadrare in una tale visione.
Gli ortoressici positivi
L'esempio classico è rappresentato dalla dieta mediterranea. Ci sono alimenti buoni che vanno spinti e altri meno buoni che devono essere limitati.
È la forma di ortoressia più accettabile: l'aspetto maniacale non sta nell'opporsi a certi cibi, quanto nel promuoverne euforicamente alcuni oltre i loro effettivi meriti. Un dietologo mediterraneo esalterà oltre misura i pregi di frutta,
verdura, olio d'oliva, pasta ecc. Suggerirà di evitare il burro e i grassi animali, di moderare la carne rossa ecc. Il più delle volte crea nell'interlocutore l'illusione che basti mangiare i cibi "buoni" per arrivare alla salute.
Cosa non va – La mancanza di indicazioni quantitative disillude ben presto il soggetto: pur mangiando cibi buoni non ha una buona salute, in particolare è in sovrappeso.
Gli ortoressici salutisti
Sono gli ortoressici classici, quelli della definizione originale di Bratman. È
il caso dei vegani per motivi alimentari, dei puristi, della dieta del gruppo
sanguigno o dalla macrobiotica e di tutti coloro che eliminano ampie categorie di cibi ritenendoli dannosi, a prescindere da ogni riscontro scientifico.
Cosa non va – Ovviamente solo una piccola parte della popolazione può accettare pesanti vincoli sulla propria alimentazione per benefici promessi, ma non provati. Inoltre molto spesso alcuni aspetti del modello (troppo
singolari) ne inficiano altri degni di essere considerati (metodo Kousmine).
Gli ortoressici etici
Sono rappresentati da vegetariani (per motivi etici e non per motivi alimentari: i vegetariani che sono tali perché
ritengono che la carne faccia male rientrano nell'ortoressia salutista), da vegani per motivi etici (non consumano prodotti animali derivanti dall'allevamento perché ritengono esecrabili
le condizioni degli animali in cattività) e da tutti coloro che escludono ampie categorie di alimenti per motivi etici, spirituali o religiosi. Il concetto di ampia categoria è fondamentale: non si considera ortoressico un regime che esclude
gruppi molto ristretti di alimenti.
Cosa non va - Molti vegetariani o vegani etici ritengono che la loro sia una "scelta personale" e che quindi non andrebbe discussa e criticata. In realtà:
a) un modello che la maggior parte della popolazione non segue (e non vuole seguire) non può essere una risposta ai problemi dell'alimentazione;
b) il punto precedente
per un ortoressico etico è poco importante perché, secondo lui, la sua è una "scelta personale". In realtà non è così. Ogni scelta etica è una scelta che interessa la collettività. Infatti chi sceglie,
inevitabilmente tenderà a rendere la società affine alla sua idea (è etica!). Se non ci riesce è solo perché è in minoranza. Nel nostro caso è ovvio che se la scelta è etica, si tenderà ad abolire
tutto ciò che è in contrasto con essa (macellazione degli animali, caccia, pesca, importazione di carni e di pesce fino, nel caso dei vegani etici, all'abolizione degli allevamenti di animali).
Gli ortoressici quantitativi
Sono tutti coloro che propongono modelli alimentari con la semplice finalità di dimagrire. Esempi tipici
sono le diete dei giornali femminili che durano lo spazio di un numero o le più consolidate diete iperproteiche. A prescindere
dai sacrifici che il soggetto deve fare a causa della dieta, hanno il principale difetto nella loro stessa definizione: sono diete transitorie. L'ortoressico quantitativo è perennemente a dieta pur essendo sempre in sovrappeso!
Cosa non va – Il concetto di "dieta per dimagrire" è punitivo e su di esso non si può certo impostare una strategia a lungo termine che assicuri la salute del soggetto. Se suscitano interesse, vengono spesso abbandonate
non appena il soggetto si accorge che non può gestirle all'infinito.
Gli ortoressici globalizzanti
Con un termine oggi di moda, il globalizzatore è colui che applica concetti che funzionano su pochi individui alla generalità della popolazione nell'ottimistica speranza che ciò sia vero. È il caso delle
diete dissociate.
Cosa non va – Per la loro stessa genesi, non ottengono risultati che su gruppi molto ristretti della popolazione
e quindi per le fasce rimanenti restano poco più che una curiosità.
Gli ortoressici matematici
È una nuova tipologia che comprende modelli alimentari che hanno cercato di opporsi al pressapochismo dei modelli non quantitativi. Ne sono esempi la dieta a zona
(anche nella versione italiana) o le teorie di Udo Erasmus sui rapporti fra acidi grassi essenziali. Partendo da ipotesi scientifiche (spesso non del tutto dimostrate), costruiscono un modello alimentare talmente complesso che spesso è abbastanza facile
mostrarne le contraddizioni.
Cosa non va – Spentosi l'entusiasmo iniziale dovuto all'euforia di partecipare a qualcosa di scientifico e di innovativo, le difficoltà quotidiane di seguire
il modello ne vanificano gli eventuali pregi. Molti di quelli che dichiarano di aderire al modello in questione spesso lo adattano alla loro alimentazione, snaturandolo completamente. Gli aspetti numerici sono il fascino e il limite del modello (incoerenze
e impraticabilità).
Perché non essere ortoressici
Dopo questa
semplice panoramica è chiaro che chiunque voglia dire qualcosa di nuovo nell'ambito dell'alimentazione deve utilizzare una visione non ortoressica. Per farlo basta correggere i difetti delle varie classi. Nasceranno spontaneamente alcune regole molto
importanti.
1) Per chi è normopeso, non esistono cibi buoni e cibi cattivi.
Una sostanza che è comunque
e sempre cattiva non si può ritenere un cibo, a tutti gli effetti è un veleno.
2) Chi mangia male vivrà peggio, ma chi spera di conquistarsi il paradiso mangiando
benissimo è un illuso.
Significa che è importante evitare i gravi errori alimentari, ma l'alimentazione non può, da sola, assicurarci la salute. Per esempio la genetica
sta sempre più dimostrando che "siamo anche ciò che nasciamo", non solo ciò che mangiamo.
3) Un modello alimentare per essere valido deve poter essere seguito per
tutta la vita da qualunque persona sana.
4) I dati numerici del modello devono essere tali da poterlo gestire compatibilmente con la qualità della vita
di chi lo segue.
In altre parole i numeri devono essere solo quelli veramente necessari e devono consentire una certa flessibilità. Nei confronti del cibo ogni soggetto ha una reazione
diversa (per esempio l'assorbimento di una certa sostanza) e i cibi stessi hanno caratteristiche che possono variare nel tempo (per esempio il grado di maturazione di un frutto), dipendere dalla varietà o dalla marca, dal metodo di produzione e/o di
conservazione ecc. È abbastanza inutile cercare di calcolare tutto con la calcolatrice quando i dati di partenza sono approssimativi!
5) Scopo principale del modello è la sconfitta del
sovrappeso concependo il cibo come un concetto positivo: mangiare bene è un diritto, non un peccato.
È abbastanza ottimistico pensare di poter sconfiggere malattie come il cancro, l'AIDS, la
sclerosi multipla ecc. solo con l'alimentazione. Nessuno ci è riuscito. Se si fermasse il sovrappeso, si eliminerebbe uno dei principali fattori di rischio in patologie gravi e diffusissime. Accontentiamoci di questo grosso successo
Fin qui la notizia scientifica. Ma riflettendo, dopo decenni di pratica clinica, possiamo incontrare in studio (difficilmente), al negozio biologico (frequentemente) o all’edicola televisiva (ahimè) chi ostenta di seguire un modello dietetico piuttosto che un altro e battersi per un proselitismo esasperato. La Scienza medica, prima studia l’uomo, poi gli effetti dell’alimentazione sullo stesso (nutrigenomica). Partire con stravaganza dall’alimento, cioè portare a casa un tipo di frutta o integratore perché fa bene senza aver esaminato (visitato) un paziente fa parte di un’azione “multilevel” che potrebbe essere solo una sinergia terapeutica con le competenze mediche. Non demonizziamo un cibo o un integratore a priori, ma cerchiamo di capire perché e quale serve, in che dosi e per quanto tempo. Quanto sopra descritto è una patologia dei soggetti che da forma latente arriva all’ortoressia. Soggetti ai quali sembra di vivere bene, e sicuramente dal punto di vista organico lo può essere per aver limitato qualsiasi eccesso quantitativo e qualitativo degli alimenti, ma che psicologicamente si irrigidiscono sulle loro posizioni ideologiche fino al coinvolgimento di familiari e conoscenti, dimenticando anche il piacere del cibo o di un buon vino, che a piccole dosi ed occasionalmente con piaceri conviviali può regalare quelle emozioni più importanti della vita. Uccidere la mente per pensando di salvare una parte del corpo, o allungare la vita da anziano di un giorno, fine a se stesso, è un fine molto discutibile. Concetti e suggestioni nutrizionali non possono sostituire la medicina, gli aggiornamenti, i giudizi specialistici, le risorse tecnologiche, le competenze specifiche ed esperenziali ma soprattutto la presa in carico da parte di professionisti della medicina. Un esempio: se un auto non funziona bene, mettendo l’olio di qualità ogni settimana, non è certo che questa torni a funzionare come nuova. Però se un esperto la controlla, può trovare la causa ed il rimedio specifico (anche se un buon lubrificante è sempre utile!). Un paragone con l’attività quotidiana del medico, il quale si aggiorna costantemente e si mette per primo in discussione, anche tenendo conto anche di queste informazioni e sollecitazioni mediatiche, le studia, le modula senza scontrarsi e definisce strategie caso per caso. Poi la sensibilità del paziente che facilmente si fa prendere per mano, ascoltando il proprio corpo e curando l’alimentazione è l’alleanza terapeutica migliore. Il resto è solo merce da carta patinata e i cocci ……… si ritrovano per strada, evidente conclusione del peregrinare a spot nella cronicità. I tempi ed i disagi per la sanità avranno pure un origine, tra trascuratezza, false aspettative e tanto fai da te, disinformazione sulle alternative terapeutiche raffiguriamo un identikit delle cause. Aver compreso questo significa amare se stessi ed il prossimo.
La dismorfofobia è un disturbo psicologico caratterizzato da un’eccessiva preoccupazione per un difetto fisico realmente esistente o percepito come reale. Il termine deriva dal greco timore (phobos) della forma distorta (dis-morphé). Nei soggetti colpiti la consapevolezza di possedere un’imperfezione a livello fisico è capace di incidere sulla vita relazionale, minando l’autostima, generando insicurezza e portando spesso ad isolarsi o a far sfociare l’angoscia in comportamenti fobico-ossessivi. Come avviene per tutte le paure che diventano patologiche, la dismorfofobia è un disagio fortemente limitante per il benessere psicofisico che incide sulla vita quotidiana, nei rapporti interpersonali, sul lavoro, con un forte impatto sulle abitudini.
Il disturbo colpisce in special modo gli adolescenti di entrambi i sessi. Le ragazze spesso tendono a vedersi grasse si fissano sulla forma del seno, sui capelli, sulle cosce e sui fianchi mentre gli uomini tenderanno a sviluppare un’ansia eccessiva per il pene, per i testicoli e per i capelli. Quando quella che è la normale insicurezza del proprio corpo legata all’adolescenza si trasforma in fobia potrebbero insorgere disturbi correlati, come stress emotivo, anoressia, bulimia, nel tentativo di correggere ad ogni costo il difetto percepito come fonte di disagio e di tutti i problemi relazionali ed esistenziali.
Cause dismorfofobia
Negli adolescenti è l’insicurezza e la scarsa autostima tipica dell’età del cambiamento a scatenare una preoccupazione eccessiva del proprio aspetto e di una parte specifica del corpo percepita come deforme o imperfetta. Secondo gli esperti, inoltre, a prescindere dalla fascia d’età affetta da una visione errata del proprio aspetto fisico, ad influire oggi sull’insorgere del problema sono i modelli estetici sempre più irraggiungibili, magari ritoccati, che campeggiano sulle pagine dei giornali o in tv. Inoltre viviamo in una società in cui anche il più piccolo difetto viene additato come una grave pecca, se ne pubblicizza la soluzione, che si tratti di un intervento di chirurgia estetica piuttosto che di una crema miracolosa. L’esistenza della panacea per tutte le imperfezioni porta ad attribuire sempre maggiore importanza anche a difetti che si reputavano trascurabili, tanto da non riuscire a capacitarsi della loro esistenza ed a non sopportarne più la vista. Nel caso della dismorfofobia si vedono, nella gran parte dei casi, difetti inesistenti o insignificanti che diventano via via dei giganti che minano l’autostima e compromettono la vita sociale e l’equilibrio psichico.